La Battaglia di Fornovo
La Battaglia di Fornovo Anno Domini 1495 è il più importante avvenimento storico dell’ epoca in considerazione. La nostra penisola in quegli anni era frazionata in numerosi staterelli che non avevano la visione di un interesse generale italiano, si guardavano in cagnesco erano spesso in guerra tra loro (Bellettini) in questo contesto la calata di Carlo VIII aprì la serie delle invasioni straniere. Ghirardini riporta che per giustificare le sue imprese da tempo meditate, il Re franco aveva addotto molti argomenti. Egli aveva pensato di puntare sul regno di Napoli, non tanto per cogliervi l’ eredità degli Angioini, quanto per mirare alla conquista dell’ Oriente. Carlo VIII accetto’ quindi l’appello di Ludovico il Moro, che venne ordendo la sua trama nel duplice intento di assicurare al ducato il predominio in Italia e mettere definitivamente in disparte il nipote Gian Galeazzo seriamente ammalato a Pavia che morì con sospetto di veleno. L’ idea di Carlo VIII era di diventare grande come i passati Imperatori romani, arrivando al Sacro Sepolcro, avrebbe voluto anche assurgere al divino, ma fu solo un piccolo monarca ambizioso, per cui l’Italia non avrebbe avuto in lui che un dispotico oppressore (Dallapina). ” Plorate super vos Italiani, che giunto è l’ dì de la vostra ruina ” (Sassi). Le genti della penisola erano impressionante dai numeri degli armamenti francesi. Così passato il Monginevro il 2/09/1494, re Carlo entrò in Italia e si fermò a pernottare nell’ alta Valle di Susa. Martedi 9/09/1494 entrò in Asti che lo accoglierà anche dopo la Battaglia del 6 luglio (Th. Godefroy). E fu qui che decise di procedere verso Napoli non per mare, ma per terra. Molte città concedevano il passo per non essere danneggiate (G.Gallo). Ora Ludovico cominciava a rendersi conto del rischio maggiore che incombeva. “La servitù imminente a sé e a tutti gli italiani se alla potenza del re di Francia il reame di Napoli s’ aggiungesse” (Guicciardini). Così a Venezia si formò una lega e il Commynes ne informò Carlo VIII; ne facevano parte Venezia, Milano, lo Stato della Chiesa è altre potenze straniere. Il comando fu affidato a Francesco Gonzaga. A Carlo VIII non restò che risalire la penisola e Lunedi 29/06/1495 fu a Pontremoli dove gli Svizzeri al comando di Gilbert de Montpensier, in barba agli accordi, saccheggiarono, uccisero e bruciarono ogni cosa. Re Carlo (Giudici) ed i suoi consiglieri nella notte tra il 5 e il 6 luglio, entrati nella zona di Fornovo Taro, si predisposto alla battaglia. Verso le 11 del giorno 6 Luglio anche il Gonzaga, informato dei movimenti dell’ esercito avversario e ritenuto che il Re si volesse sganciare, ordinò ai suoi luogotenenti di predisporre al combattimento. Intanto le acque del Taro, perla pioggia caduta, erano entrate in piena. La lotta iniziatasi tra il mezzogiorno e le tredici del 6 Luglio risultò la più dura e sanguinosa di tutto il medioevo.
“Straziati fuoron uomini e animali in sola mistura
stravolto tutto fu in rosso color da far paura.
Oh, patrio suol che giaci insanguinato
tra la il fiume e il monte,
sorgi ancor con coraggio innato
contro nuove onte.
Si nuove lotte su di te si avranno,
nuovo invasor ancor sul suol natio
nuova unione sarà in più recente anno,
contro ogni traditor perverso e rio.”
Poesia di Pietro Dallapina.
Storie di guerra
E’ giusto che qualcuno decida il destino di molti? Ed eccoci a ricordare chi lasciò la vita o si ammalo’ o comunque patì terribili sofferenze non a seguito di decisioni proprie, ma per volontà di altri. In occasione del “4 novembre” , ma non solo per questo, è doveroso si ricordino non solo nomi illustri, ma anche persone comuni, non per questo meno importanti, perché furono soprattutto loro a fare la Storia. A questo proposito per ciò che riguarda la famiglia Dallapina, si possono annoverare tre uomini che furono chiamati alle armi nell’ ambito del primo conflitto mondiale, si tratta di: Pietro Dallapina, Alberto Dallapina ed Alfredo Folli. Per primo è giusto ricordare Pietro Dallapina, il cui nome compare nell’ Albo D’ Oro della Grande Guerra e nella lapide commemorativa sita nella cappella de S.S. Sacramento della Pieve di Fornovo di Taro.
Pietro Dallapina nasce a Fornovo di Taro il 1 gennaio 1895 e muore il 30 settembre1918 nell’ ospedale militare di Modena a seguito di una grave malattia contratta in guerra. Era una persona dall’animo nobile e, prima della guerra, aveva aiutato il fratello nella falegnameria di famiglia già attiva a fine ‘800 condotta dal padre Carlo che tra le altre cose ebbe l’incarico di occuparsi della manutenzione della “barca” che, prima della costruzione del ponte Solferino S. Martino sul fiume Taro, serviva per traghettare persone, cose, animali da Fornovo a Ramiola e viceversa. Quella di Pietro fu un’ esistenza semplice come quella di molti giovani di cui si è sempre parlato poco. Molti innocenti che nulla pretesero in cambio della vita. Egli amava, come il fratello Alberto, la musica. Fece parte della banda musicale del paese attiva fin dal 1800 e si esercitava nel salone della falegnameria di famiglia ove diversi componenti della Banda fornovese spesso si ritrovavano per le prove e dove potevano lasciare gli strumenti ingombranti. All’ epoca del primo conflitto mondiale aveva 23 anni ed il fisico esile non resistette alle vicissitudini di una guerra cosi’ terribile. Ammalatosi gravemente fu trasportato a Modena ove mori’ il 30 settembre 1918. Il suo corpo giace ora nel sacrario militate di Oslavia presso Gorizia. Occorrevano troppi denari per il rimpatrio e per questo spesso le famiglie erano costrette a privarsi del conforto di piangere il proprio caro nel cimitero del paese. E cio’ accadde anche a loro. In suo onore misero il nome “Pietro” al primogenito del fratello Alberto. Il 31 marzo 2019 ai familiari e’ stato consegnato un attestato commemorativo in ricordo del suo sacrificio con la splendida cornice degli alpini del territorio di Fornovo Taro e dei paesi limitrofi.
Alberto Dallapina, fratello di Pietro, nasce a Fornovo di Taro il 24 agosto 1884, anch’ egli, dovette partire per la guerra. Alberto era un uomo colto, musicista ed abile falegname, creava mobili su misura e pavimenti in legno e, tra le altre cose, intagliava bellissime statuette, creava giocattoli che esponeva nella sua bottega. Amico di Don Tadde’, parroco di Vizzola, creo’ il famoso Presepe che, in seguito, fu dipinto da Don Tadde’ e divenne perenne. Durante la realizzazione del Presepe a Vizzola, accadeva spesso che Alberto portasse con se’ il figlio Pietro che conobbe il gentile parroco e pote’ cosi’ affinare l’arte della pittura con la quale Pietro amava dilettarsi fin da piccolo. Nacquero, dipinte da Pietro, diverse opere, alcune delle quali furono rifinite da Don Tadde’ stesso. Tornando ad Alberto, si ricorda che suono’ anch’ egli nella Banda Musicale del paese ed il suo strumento preferito fu il trombone. Virtuoso, fu chiamato diverse volte a far parte dell’ orchestra del Teatro Regio di Parma. Nel 1911-1912 fu fante nella guerra Italo-Turca di Libia. Tornato a casa, dopo molti stenti, come tanti, non parlava quasi mai degli orrori di questa guerra ai quali purtroppo dovette assistere, ma i suoi sentimenti a tal proposito, trasparivano dagli occhi tenuti troppo spesso bassi, immersi nell’intaglio, quasi a voler allontanare il suo pensiero sulla vita. Ora riposa nel cimitero di Fornovo Taro, il suo paese, dal quale si stacco’ solo durante il periodo bellico come ricordato e durante il secondo conflitto mondiale quando, sfollato a Selva, ove la moglie Amabile Calzetti, possedeva una casa rurale attorniata da un bosco di castagni, protesse il figlio Pietro braccato dai Tedeschi. Quest’ultimo infatti, come si legge nella biografia, ufficiale a Verona Villafranca, dopo l’ 8 Settembre, non aderendo all’ invito di Salo’ fu fermato e condotto in un campo di prigionia tedesco nei pressi di Verona. Fuggito da quel luogo con un compagno di Pontremoli si diresse per i campi verso casa trovando rifugio proprio a Selva protetto dal padre Alberto che lo nascose sottraendolo a certa morte. Le guerre sospesero e spesso ruppero le vite di molti, cambiarono il volto di paesi, impoverirono intere comunita’.
Non possiamo dimenticarci del nonno materno Folli Alfredo, (pubblicazione ” Dal Foglio alla Trincea -Archivio di Stato di Parma- articolo di Magda Dallapina e Perini Michela). Alfredo Folli nasce a Varano Melegari il 26 luglio 1900, per poi spostarsi nel territorio di Ricco’ e poi di Fornovo di Taro. Figlio di Giovanni e Castelli Gemma fu chiamato alle armi il 20 marzo 1918; diventa caporale il 31 ottobre e viene collocato in congedo illimitato provvisorio, come si evince dal Foglio Matricolare allegato, il 21 marzo dell’anno seguente. Venne impiegato come soldato sul fronte Nazionale. Cosi’ soleva ricordare il nonno Alfredo ……. ” Correva l’ anno 1918 e mai in quel giorno mi sarei atteso un cosi’ imperante ordine. Ero del 1900 e mi resi conto d’ esser con chi sarebbe dovuto partire per il fronte. L’ indignazione popolare cresceva nelle famiglie. Non v’ era rispetto ne’ per la nostra giovane eta’, ne’ per i nostri cari, che tanto avevano gia’ dato alla Patria. Lasciammo le nostre case con mezzi diversi diretti in Veneto, e poi con autocarri Fiat 18 BL fummo trasferiti verso il fronte. Operammo nei territori compresi tra Adige, Piave, Isonzo. In quelle zone di confine tocco’ a noi ragazzi del ‘900, il terribile compito del recupero dei feriti e dei caduti. Ove possibile si procedeva all’ identificazione dei morti con l’ ausilio delle “piastrine”, in questo modo potevamo restituire i miseri resti alle famiglie, e quando le bare non riuscivano a contenere i corpi, l’ ordine era quello di utilizzarle in ogni modo, anche sezionando i cadaveri. Tanto era l’ orrore per cio’ che si doveva fare, e la mancanza d’ igiene, che molti soldati si ammalavano o svenivano. E cio’ successe anche a me. In cuor mio non potevo tacere un pensiero perpetuo al Signore: “Dio mio, vi sara’ mai una fine a tanto orrore? “. Nei momenti di pausa si alzavano al cielo canti di montagna o si trovava il tempo per scrivere a casa e dire alla mamma lontana che tutto andava “bene” per non farla soffrire troppo ….. e si pregava che tutto cio’ finisse presto…….” .
Il Monte della Croce di Fornovo Taro
Chi ama le verdi colline del parmense digradanti verso il letto del fiume Taro e giunge a Fornovo, non può non notare sul colle che lo sovrasta ad est una croce, come se la mano di Dio fosse sopra di esso quasi a proteggerlo e suggerire a tutti di amarlo. Si tratta di una croce in ferro posta vicino al luogo ove un’altra in legno ricordava le predicazioni di Padre Paolo Segneri, gesuita della Compagnia di Gesù (1624-1694). Queste sue predicazioni a Fornovo, avvennero secondo il Cattelani nel 1666, secondo Don Botti nell’agosto del 1673. La croce in legno che diede il nome al monte, Monte Croce, restò in loco fino agli anni 1907-1908, quando fu tagliata e bruciata da un fanatico anarcoide titolare di una cooperativa posta nell’odierna via XXIV Maggio.(Dallapina, Forum Novum Retrospettiva). Questo colle non è solo luogo di storia e tradizione, infatti le numerose arbustive che vi si trovano, rendono l’ habitat favorevole per molte specie animali non solo stanziali ma provenienti anche dal vicino Parco Regionale Fluviale del Taro e dal Parco dei Boschi di Carrega, quali: tortora dal collare, verdone, assiolo, usignolo, ghiandaia, pettirosso, cincia spp., passero comune, gufo, civetta, gazza, merlo, cornacchia, storno, codirosso, sparviere; a questi si aggiungono ricci, lepri, avicole e rari avvistamenti di caprioli. Particolarmente ricche le specie arboree-arbustive esistenti in loco. Si annoverano infatti: olivello spinoso, rosa canina, biancospino, prugnolo, felci, equiseti, robinie, rovi, querce e castagni, in particolare questi ultimi sono presenti lungo la via principale.
Il Monte Croce, da sempre meta di passeggiate domenicali di molti fornovesi, sarebbe auspicabile venisse recuperato e valorizzato come belvedere, proprio per le sue peculiarità che lo rendono unico e pregevole luogo di sosta lungo il percorso della Via Francigena….. “Par quasi d’esser sospesi a mezz’aria tra cielo e terra” …… Quando il cielo è terso e l’atmosfera è cristallina in estate come d’inverno, l’occhio spazia per molti chilometri tanto da poter scorgere verso nord le Alpi e la depressione del Garda; mentre verso sud gli Appennini ed il mirabile incontro di Taro e Ceno che dal Monte Penna scendono per abbracciarsi nella nostra vallata. Ed ecco, guardando le colline, tornano alla memoria gli echi antichi dei nostri nonni che con il loro lavoro plasmarono l’intero territorio, echi di gloriosi combattenti per la libertà i grandi partigiani, echi di glorie medievali che segnarono il passaggio di eserciti e sovrani, ”pei passi del monte, pei guadi del fiume”. Un ritratto fedele e innamorato del territorio viene dipinto da Pietro Dallapina in una delle sue ultime pagine di memorie…….
“ Un frusciar dolce accompagna il giorno,
mentre il pensier osserva ameni luoghi.
Mai lascerò le mie belle colline,
verdeggianti d’estate,
bianche in inverno,
infuocate al tramonto.”
Pierto Dallapina Fornovo Taro 1998
Lettera sulla via del ritorno
Cari genitori, care sorelle, giovine amor mio….. Quarantacinque giorni son passati dalla destituzione di Mussolini, nulla s’ e’ mosso in suol italiano ed ora lo sperato l’ armistizio ma senza comando alcuno. E’ oramai calata la penombra e ci si appresta alla notte. Alzo gli occhi verso il cielo in cerca…. Perseidi, Leonidi, Geminidi a voi m’ appello, Dio l’ ho invocato ma non e’ servito. E vedo innanzi creature alate. Oh falchi che nel blu’ volate, portatemi sull’ ale dorate, levatevi in volo meco appeso alle vostre rapaci zampe. Io palpito, il pensiero scivola via. Da te vorrei volare mia Gemma.
Ti scrivo con la speme di consegnarti questa lettera di persona, perche’ so, che se ti rivedro’, non avro’ neppure un anelito di fiato per parlarti, tanto saro’ sfinito e consunto. Son sballottato da Boscomantico, centro d’ addestramento Regia Areonautica, a Villafranca di Verona, sede del circolo ufficiali dove io suon, ricordi? Seppur raramente vi e’ quel briccone di Lelio Luttazzi. Rimembri i commenti sulle sue abilita’ musicali? Or e’ diverso, per i crucchi siam traditori e ci saranno addosso. Il Re Imperatore, Badoglio, Roatta, Ambrosio, Carboni e Castellano che fate ci lasciate allo sbando? L’ unico ordine e’ il non avere ordini? A noi militari, tocca fuggire su tratturi, pei campi, ed ho meco poche lire in tasca e un commilitone carrarino ancor piu’ povero di me. L’ urbe e’ piena di tesdeschi pronti a farci la pelle. Buttiam le divise ed indossiam i panni da civili, forse bastera’ per dileguarci indisturbati? Il pensier mio corre a voi famiglia. Nonna cara, sento il bisogno d’ una vostra carezza; lo so son uomo fatto ormai, ma mancan le vostre attenzioni, le vostre premurose cure. Ricordate mi scriveste assiem al babbo …. “Piero la maglia di lana indossala sempre.”…. “Non vi preoccupate, scriss’ io, son giovine ed il freddo non temo.” E voi cara mamma e caro papa’, memoria son le vostre ultime parole prima di salir sulla Littorina…. “Figlio caro fatti onore e datti consiglio, scrivi per ogni bisogno. Nella bisaccia fatta, troverai un poco di danaro, la Linetti e la torta d’ erbe…. Fai buon viaggio.” Che bello il vostro mondo, pien d’ affetto che versate a piene mani sui vostri figli. E voi sorelle, un poco mi pensate? Temete per il destin mio? Dentro me v’ e’ scoramento e desolazione. Il mio cuor s’e’ fatto cimitero.
Le lagrime non devono solcarmi, e’ giunta l’ ora, si deve lasciar Verona. Devo trovar prodezza ed ardimento, ma nella bisaccia, sol e’ restato disincanto, polvere e paura. Mi sento come ladro che tenta fuga disperata, come lepre inseguita dal vile cacciatore. Ci fan ceder le armi. Non avro’ nascondiglio sicuro e la volta celeste, par ubbia inconsistente. Scellerati, mandan le canzonette alla radio. Affranchero’ questa mia lettera, l’ ultima, si son certo che giunga incorrotta, almen lei, sino a voi. Vi saluto con un a presto o con un addio? Qual sia il vocabolo piu’ giusto per questa lettera, lo decidera’ il fato……. Io parto.